mercoledì 4 luglio 2012

I Foni e i 'Compromessi Grafici'


Una piccola premessa all'articolo.
Ringrazio tutte le persone che hanno commentato qui sul blog e sulle pagine di facebook dei blogger cegliesi che hanno segnalato questo mio progetto perchè mi hanno ispirato con nuovi argomenti da trattare e invogliato a continuare.
Ma torniamo alle cose serie...

Tra i commenti al primo articolo un utente mi suggeriva che i suoni che il cegliese utilizza per formare le parole possono avere una provenienza, foneticamente parlando, non appartentente alla schiera dei suoni di cui l'italiano si serve. Ha sicuramente ragione affermando questo! Anche io penso questo. Le varie conquiste culturali e belliche che abbiamo subito hanno modificato non solo le parole, ma anche le pronuncia di parole che noi magari già conoscevamo. Ma c'è anche un'altra ipotesi da tenere in considerazione: potremmo non essere stati noi ad acquistare nuovi foni, ma sono stati gli altri a perderne alcuni e viceversa.

Ma il problema che mi pongo adesso ritornando ai miei dubbi riguardo alla scrittura del dialetto è: esiste un metodo di scrittura di una lingua che riesca a fissare graficamente i suoni senza una perdita di informazioni fonologiche per la succesiva lettura senza errori di pronuncia? La risposta è si ed è l'IPA, l'alfabeto fonetico internazionale. Alfabeto in grado di avere una parità uno a uno tra foni e lettere, cosa che con gli altri alfabeti si può ottenere parzialmente solo combinando 2 o più lettere, o usando segni diacritici sopra di esse, creando un 'compromesso grafico' che ne facilita la scrittura.
Quello che io ho chiamato 'compromesso grafico' non è una cosa rara nelle varie lingue, infatti se portiamo come esempio il suono gn (di gnomo) possiamo notare che in italiano il suono si esprime appunto con l'accostamento della g e della n, mentre in spagnolo si usa una sola lettera, la n con la tilde ( ñ ); mentre il simbolo IPA per queste due versioni grafiche dello stesso fono è ɲ (Nasale palatale). Con quella lettera che esprime solo e solamente quel suono, è piu facile riconoscerlo e non si puo cadere in errori che l'uso delle combinazione di simboli può portare a commettere, come ad esempio leggere separatamente il gruppo gn porterebbe a pronunciare le parole in modo sbagliato (g-nomo, leg-no, ig-norante ecc. ecc.). Naturalmente la scuola sopperisce a questo deficit grafico, ma fino a quando non esisterà una scuola di cegliese per i suoni che esulano dalla fonetica italiana ci dovremo prendere carico di utilizzare con coscienza quelli che io ho chiamato compromessi grafici con l'accorgimento che la scrittura delle parole non risulti difficoltosa al volenteroso scrittore di dialetto cegliese.

Ringrazio di nuovo tutti per l'attenzione che mi avete concesso sperando che i miei articoli non siano a lungo andare stancanti. Vi invito a commentare per chiarimenti e curiosità su questo articolo e sugli articoli precedenti! Accetto anche pareri contrari... :)

1 commento:

  1. "La muta è una vocale dal suono evanescente, ma vero: essa esiste e bisogna farla sentire nella pronunzia, bisogna darle corpo nella grafia. Se vogliamo trascrivere nel dialetto la parola bar, per indicare il noto punto di incontro dove possiamo degustare un buon caffè, scriveremo bar, perché dopo la r non c' è nulla. Se invece scriviamo Bar’ per indicare la città di Bari, commettiamo un errore, perché nella pronunzia dialettale non c’è nessuna elisione. Per indicare la città si deve scrivere Bar∂, oppure, Barë, con la e muta espressa, perché la i finale non viene elisa: è muta e fa sentire la sua esistenza, né il segno dell’apostrofo può indicare tale suono, perché esso indica una elisione: questo suono dai linguisti è indicato con il segno ∂ , una specie di e capovolta, oppure ë, il segno che ho adottato."

    Il tema è oggetto di ricerca, come si può notare dal brano citato che ho reperito in rete. In ogni caso, salvaguardare il dialetto vuol dire anche salvaguardare tradizioni e cultura locale, qualcosa ho tentato di fare da "cegliese nel mondo" legato a un dialetto autentico (risalente a quarant'anni fa) che oggi è già scalfito dall'uso della lingua nazionale.

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